Onorevoli Colleghi! - La ratio dell'articolo 58 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concernente le cause ostative alla canditatura per le elezioni degli enti locali, è chiaramente quella di impedire l'accesso alle cariche pubbliche elettive presso gli enti locali a coloro i quali abbiano dimostrato di non esserne degni per effetto di pregressi comportamenti devianti accertati e sanzionati dal giudice penale ovvero da quello della prevenzione. Il riferimento è, in primis, ai reati di associazione mafiosa, a quelli concernenti le sostanze stupefacenti, ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione, ai delitti non colposi puniti con una pena superiore ai due anni di reclusione, ad ogni altro reato per il quale sia stata applicata una pena superiore a sei mesi di reclusione e nel contempo, ricorra l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione. In quest'ultimo caso la ragione del divieto della candidatura pubblica va ravvisata nella prognosi sfavorevole fatta dal legislatore nei confronti di coloro i quali, avendo già svolto pubbliche funzioni o pubblici servizi, ne abbiano abusato ponendo in essere condotte illecite rilevanti, punite in concreto dal giudice penale con pena superiore ai sei mesi.
Nel senso della restrizione della causa ostativa al pubblico ufficiale si sono pronunciati, tra l'altro, il tribunale di Perugia con sentenza del 2 agosto 1995 (Rassegna giuridica Umbra, 1995, 810) ed il tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi con sentenza del 26 novembre 1992, statuendo che «le cause di ineleggibilità di cui all'articolo 1, lettera e), della legge 18 gennaio 1992, n. 16, hanno esclusivo riguardo ai reati commessi abusando della